La pioniera assoluta era stata, a fine marzo, Crowdfundme su AIM. La strada che porta al mercato inaugura una nuova era evolutiva per il FinTech italiano
Il FinTech italiano va alla conquista della Borsa. La quotazione di Nexi, che debutta oggi, martedì 16 aprile, a 9 euro per azione, consacra definitivamente il settore. Per almeno due motivi: perché parliamo della quotazione di un’azienda attiva nei servizi e nelle infrastrutture per i pagamenti digitali per banche – una challenger bank; e perché è, al momento, la maggiore IPO del 2019 a livello mondiale. Non un’operazione di nicchia, dunque.
Certamente Nexi è un gruppo che ha origine dal mondo della finanza tradizionale (deriva infatti da CartaSì e ICBPI) e ha una lunga storia, ma rileva che, visto il business in cui opera, abbia ricevuto un’offerta per il collocamento di 5,4 miliardi di euro da più di 340 investitori da tutto il mondo: il che corrisponde a un enterprise value totale di 7,3 miliardi (circa 2 miliardi il flottante, superiore al 35%). E testimonia di un fortissimo interesse per la tecnologia che innova la finanza.
Le prospettive sono rosee se si guarda a quello che è successo in Olanda con Adyen, unicorno operante nel sistema dei pagamenti, le cui azioni dall’IPO di giugno 2018 hanno visto un aumento in valore del 180% e oggi vanta una capitalizzazione superiore ai 20 miliardi di euro.
Nexi si quota sul Mercato Telematico Azionario, il listino principale di Borsa Italiana. Ma non è la prima FinTech in assoluto ad approdare sul mercato domestico. Il 25 marzo, infatti, su AIM, il listino delle piccole imprese italiane, era stata la volta di Crowdfundme che ha collocato 313.140 azioni a 9 euro ciascuna con un incasso di 2,8 milioni di euro: multipli in base a cui l’intera società vale 13 milioni di euro.
Numeri senza dubbio diversi da quelli di Nexi ma che non inficiano il significato della prima operazione di quotazione realizzata da una FinTech italiana. Crowfundme opera nel settore dell’equity crowdfunding – ha chiuso 46 campagne di raccolta fondi per startup di diversi settori – e si attende di arrivare all’utile con il bilancio 2020.
Ma, evidentemente, non ha paura di sottoporre agli investitori in totale trasparenza i propri numeri e la propria governance da qui al break-even e oltre. Ed è una scelta importante che potrebbe contribuire a consolidare il settore e avvicinare sempre più PMI alle fonti di finanziamento alternative, per arrivare a quello che accadde nel Regno Unito dove “una piccola e media impresa su sei raccoglie fondi tramite l’equity crowdfunding”, come si legge nel prospetto di Crowdfundme.
Approdare in Borsa è un segnale di maturità per un’azienda. Perché aprirsi al mercato implica la necessità di un cambiamento culturale e richiede una disciplina diversa perché espone l’organizzazione a un pubblico internazionale a cui dar conto delle proprie strategie e dei propri risultati. Nel contempo è un passo che consente di reperire risorse per la crescita e lo sviluppo del business. Un’occasione di visibilità ma anche la necessità di essere totalmente trasparenti.
Secondo le voci che circolano sul mercato, sono diverse le startup italiane del FinTech a guardare al listino.
Nel Regno Unito la prima quotazione nel settore del P2P lending c’è già stata, lo scorso autunno, ed è stata quella di Funding Circle, leader britannico nei prestiti alle PMI (ne avevamo parlato qui), che ha aperto la strada a un trend che crediamo si possa estendere velocemente anche all’Europa continentale. E l’Italia, con il fermento del FinTech nostrano, è in un’ottima posizione per fare da apripista.
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