23 marzo, 2021

4 min di lettura

Scritto da: Maurizio Diana

Il caso della fatturazione elettronica: come una piccola trasformazione ha rivoluzionato l’accesso ai dati e la loro analisi


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Accolta come un fastidioso obbligo all’inizio, oggi le aziende hanno capito il potenziale della dematerializzazione dei documenti. Che consente, a latere, di raccogliere informazioni vitali per i processi aziendali, ma anche sul fronte della supply chain finance

A cura di Maurizio Diana, Head of Data Management di BorsadelCredito.it

Quando si parla di open banking spesso si sconfina nei massimi sistemi. La banca aperta, come unico flusso indistinto di informazioni e servizi che viaggiano sull’onda della tecnologia sottostante è ancora utopia. Ma spesso non è necessario abilitare cambiamenti enormi o radicali per fare la rivoluzione. Anzi, sono i piccoli passi che consentono trasformazioni radicali.

Un esempio in Italia arriva dalla fatturazione elettronica. Obbligatoria da inizio 2019 per il 56% delle partite IVA italiane – a esclusione di medici, farmacisti, società sportive dilettantistiche e partite IVA soggette al regime dei minimi o forfettario – era stata annunciata come la normativa più avanzata d’Europa. L’Italia è diventata in quel momento infatti l’unico Paese del Vecchio Continente ad avere l’obbligo di emettere fatture elettroniche sia verso la PA sia B2B e B2C. 

Oltre due miliardi di fatture elettroniche emesse

Il Politecnico di Milano aveva misurato che per le imprese questa novità avrebbe avuto un impatto sicuramente in termini di efficientamento dei processi, ma anche più concretamente di risparmio dei costi e aumento della produttività. Che, a seconda della più o meno completa implementazione della dematerializzazione, sarebbero variati fra i 2 e i 65 euro per singola fattura. 

Nel solo primo anno di applicazione le imprese coinvolte sono state 3,9 milioni (il 57% grandi imprese e il 23% PMI) e sono state 2,09 miliardi le e-fatture transitate attraverso il Sistema di Interscambio (SdI). E c’è un elemento che è emerso nella sua rilevanza: i dati, che in primis le aziende hanno iniziato a usare, comprendendone il valore. La stessa gestione della supply chain cambia attraverso la progressiva valorizzazione dei dati

Il valore dei dati

Ma i dati hanno un valore enorme anche per chi eroga credito come BorsadelCredito.it, perché sono la base che consente di migliorare i criteri di valutazione delle imprese., a vantaggio di tutto l’ecosistema.

Le realtà che oggi si basano solo su analisi massicce di documenti per lo più cartacei e datati, a partire dai bilanci che fotografano una situazione superata e non necessariamente più affidabile, rischiano di avere un quadro incompleto rispetto ai fondamentali dell’azienda e dunque di non riuscire a valutarla correttamente. Questa osservazione è ancora più valida in questo momento storico: i bilanci 2020 riporteranno cali di fatturato a due cifre per molti settori, non correlati con la solidità del soggetto.

Valutare la solvibilità delle imprese richiedenti diventa molto più facile potendo disporre di strumenti adatti e di dati “freschi”. Per esempio, dalla sola aggregazione dei conti correnti aziendali, con l’analisi dei big data, è possibile:

  • Estrarre informazioni su dipendenti, fornitori e clienti; 
  • Verificare se l’azienda è in regola con le tasse; 
  • Controllare se eroga gli stipendi in maniera puntuale, se paga le fatture a scadenza. 

Questa analisi permette non solo di ottenere uno storico andamentale ma anche di fare una fotografia in tempo reale,  rendendo estremamente più snella l’erogazione di credito. In un momento in cui il credito può fare la differenza per la sopravvivenza di una PMI.

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