17 novembre, 2021

8 min di lettura

Scritto da: Greta Antonini

Fintech, lo strumento per rendere la finanza (e il mondo) più rosa

A livello globale le donne hanno più difficoltà degli uomini ad accedere al mondo del lavoro e del potere, nonostante abbiano pari (o maggiori) competenze. Dal fintech – che è per sua natura un canale inclusivo e che vuole farsi portabandiera della gender equity – possono arrivare alcuni suggerimenti che dovrebbero diventare prioritari nell’agenda politica

A cura di Greta Antonini, Marketing Manager di Opyn

Sono più brave degli uomini negli studi (e spesso sul lavoro) ma hanno stipendi più bassi e carriere discontinue, a cui spesso rinunciano alla nascita del primo figlio. Inoltre, sono ancora troppo poche quelle in posizioni apicali, che potrebbero trascinare un’onda rosa di sviluppo. Sono argomentazioni note e per ognuna esiste un numero a esplicitarla. Come pure è arcinoto che esprimendo il loro potenziale nascosto le donne potrebbero portare nell’economia una crescita imponente.

Eppure c’è qualcosa che impedisce agli ingranaggi di funzionare e rendere il sistema fluido.

Un boost alla crescita economica

La teoria della womenomics risale al 1999 (Kathy Matsui, di Goldman Sachs) e sostiene che incentivare le donne a partecipare al mondo del lavoro è un viatico per la crescita. Si parlava in quel caso di mercato giapponese: nel 2014 Matsui aggiorna il suo studio in chiave 4.0, e calcola che per il suo Paese il boost potenziale della piena partecipazione al mondo del lavoro sarebbe del 13%. Di più, si tratterebbe dell’unica misura possibile per compensare calo e invecchiamento della popolazione: le stime prevedono che nel 2060 i giapponesi saranno il 30% in meno di oggi e per il 40% over 65enni. Una fotografia demografica che è simile a quella italiana: e non è un caso che secondo l’agenzia europea Eurofund, la sottooccupazione femminile in Italia ha un costo pari al 5,7% del Pil e la rimozione di questo gap avrebbe un impatto positivo sullo stesso nella misura dell’11%.

Ma non è solo questione di quantità: secondo McKinsey le aziende dove c’è un miglior balance tra uomini e donne e quindi gender equality hanno reddittività migliori, del 21% rispetto ai competitor.

Il gender gap in Italia e in Europa

Nel frattempo la pandemia ha allungato i tempi per raggiungere la parità di genere a livello globale: saranno necessari 135,6 anni, contro i 99,5 anni precedenti. Ma se guardiamo al solo gap economico, gli anni diventano 267,6!

Nella classifica stilata dal World Economic Forum emerge però il balzo registrato dall’Italia, che ha guadagnato 13 posizioni salendo dal 76esimo al 63esimo posto su un panel di 156 paesi al mondo.

La spinta maggiore al miglioramento è venuta dalla politica mentre in termini di occupazione e divario salariale l’Italia è fra le maglie nere a livello europeo. Con l’emergenza, infatti, le donne sono state le prime costrette a rimanere a casa e in molti casi non sono tornate al lavoro: nel sottoindice relativo a partecipazione ed opportunità economiche siamo al 114esimo posto.

Il gap, in termini di partecipazione al mondo del lavoro è al 25% (lavorano solo il 56,5%) e profondissimo per quanto attiene al potere politico, mentre è azzerato sul fronte dell’istruzione. Anzi se si guarda all’istruzione terziaria, si scopre che per ogni 100 maschi iscritti all’università ci sono 135 femmine. Un set di dati che suggerisce una conclusione: le donne hanno più difficoltà degli uomini ad accedere al mondo del lavoro e del potere, nonostante abbiano pari (o maggiori) competenze. C’è sicuramente un tema di quali competenze (tanto che il Wef rileva una certa carenza di skill adatte ai lavori di domani). 

Fintech: quello che possiamo fare nel nostro settore per ridurre il gender gap

E a proposito di nuovi lavori, secondo l’analisi “Achieving gender equity in the fintech community” di Deloitte, che ha coinvolto 3.017 startup fintech a livello mondiale, negli ultimi dieci anni l’industria ha registrato progressi lenti ma costanti. Le fintech fondate o co-fondate da donne sono cresciute a un ritmo leggermente superiore rispetto a quelle fondate dagli uomini, raggiungendo quota 369 nel 2019. Una crescita moltiplicata per otto (sette per la controparte maschile), ma che – considerando che le fintech fondate da uomini sono 2.648 – permette loro di conquistare ancora solo il 12,2% della torta totale.

Dal 2014 al 2019 i fondi destinati alle startup fondate da donne hanno registrato un tasso di crescita annuale del 58,9%, mentre per gli uomini si parla del 29,1%. A incidere sul progresso delle donne nel settore, spiega lo studio, è una maggiore attenzione all’equità di genere, ma anche la crescita del numero di donne che fanno il loro ingresso nei settori della finanza e della tecnologia e delle professioniste che assumono ruoli decisionali nelle società di venture capital.

Quindi ci sono dei progressi ma c’è ancora molta strada da fare. Infatti, secondo il Tech monitor, meno del 30% dei dipendenti delle fintech nel mondo sono donne e soli il 5% occupa delle posizioni dirigenziali.

Tre idee per ripartire (e chiudere il gap)

Se il fintech vuole farsi portabandiera della gender equity, ci sono alcuni suggerimenti che noi di Opyn, da operatori finanziari inclusivi e tecnologici, crediamo debbano diventare prioritari nell’agenda politica:

  • Rendere effettiva la normativa antidiscriminatoria sui luoghi di lavoro. Ci riferiamo al consenso unanime raggiunto dal Senato il 26 ottobre scorso su una proposta di legge che punta a superare le disparità di genere in ufficio con incentivi e sanzioni. Tra le misure che entreranno in vigore, anche l'obbligo per le aziende di certificare le politiche del personale. Ora bisogna fare in modo che entri in vigore e sia effettivamente applicata nei luoghi di lavoro.
  • È necessario incentivare percorsi di studio che vadano nella direzione dei settori a più alta occupabilità. I dati del Wef mostrano che i divari di genere sono più probabili in campi che richiedono competenze tecniche dirompenti, in particolare, il Cloud Computing, dove le donne sono solo il 14% della forza lavoro; Ingegneria (20%); Dati e AI, dove le donne rappresentano il 32% dei lavoratori. Si tratta di dati a livello globale, ma se si guarda allo spaccato italiano la situazione cambia poco. Spingere le donne verso queste competenze chiave è determinante;
  • Infine, bisogna investire potentemente sulle infrastrutture sociali: il 60,5% dei Neet italiani, chi non studia e non lavora e ha perso le speranze di trovare un lavoro, è donna e la disoccupazione femminile è al 12,8% contro il 10,9% di quella maschile. Di più: le donne Neet italiane lo sono per la stragrande maggioranza dei casi, per esigenze di cura familiari, verso i figli piccoli o verso i genitori anziani. Per incoraggiare le donne a trovare un lavoro è necessario aiutarle nella gestione della famiglia con misure ad hoc che coinvolgano i padri nei congedi parentali, che sgravino fiscalmente la frequenza degli asili nido, ovviamente garantendo che queste strutture siano presenti e disponibili. Incentivando forme di lavoro flessibili ed eventualmente potenziando i congedi di maternità.

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