Mentre sul fronte dell’inclusione sociale abilitata dal fintech i dati iniziano a essere chiari e condivisi, su quello della lotta al climate change numeri e percezioni sono più controversi. Ma su entrambi i filoni la digitalizzazione e la tecnologia finanziaria possono essere motori di cambiamento.
A cura di Greta Antonini, Marketing Manager di Opyn
Secondo i consumatori italiani, il settore finanziario è tra i più importanti per perseguire obiettivi di sostenibilità sociale (come la riduzione della povertà o l’accesso universale alle cure). Si posiziona infatti al terzo posto (su 11) dopo quelli di Università e istruzione e delle Coltivazioni. Diversamente, i consumatori non ritengono che il settore finanziario possa particolarmente contribuire alla sostenibilità ambientale e lo collocano al penultimo posto della classifica (peggio fa solo l’arredamento). Il dato è contenuto nell’ultimo Osservatorio del Politecnico di Milano su Fintech e Insurtech e ci offre lo spunto per una serie di riflessioni.
Il tema è veramente caldo: abbattimento della povertà (che si ottiene con l’inclusione finanziaria) e climate change (a cui la digitalizzazione contribuisce non poco) sono in cima alle agende degli Stati Uniti, dell’UE e sono tra i più importanti dei 17 sustainable goals dell’Onu. La percezione che il settore finanziario stia contribuendo al primo obiettivo e non al secondo è, a nostro avviso, erronea. Perché se l’inclusione finanziaria passa dalla digitalizzazione dei servizi, la digitalizzazione è anche un motore importante di sostenibilità ambientale. Due facce della stessa medaglia, a ben vedere.
Fintech come motore di sostenibilità aziendale
In Italia il trend è meno visibile, ma nel mondo anglosassone, da cui l’innovazione si muove, sta nascendo un nuovo settore: il climate fintech. Questo deriva dall’intersezione tra le tre componenti ambiente, finanza e tecnologia e include tutta una gamma di prodotti finanziari, applicazioni e piattaforme che mediano tra gli stakeholder finanziari per catalizzare l’obiettivo della decarbonizzazione.
Le banche (come riporta questo paper accademico) spendono in IT tra il 4,7 e il 9,4% del fatturato (contro il 2,6% delle aviolinee, per avere un termine di paragone): l’80% viene impiegato per il mantenimento e l’adattamento del sistema di legacy, ma il resto viene utilizzato per digitalizzare i processi, dai pagamenti, agli investimenti, al lending. Grazie alla collaborazione con le fintech appunto: come parte di questo trend, sono emerse iniziative e istituzioni all’intersezione tra fintech e climate change, “tra cui la task force dell’Onu sul Digital Financing of the Sustainable Development Goals, così come startup con focus su aree come il robo advisory per gli investimenti sostenibili, token di pagamento per le reti energetiche P2P e soluzioni blockchain per supply chain sostenibili. Sono le “green fintech” che mirano appunto a mitigare i rischi del climate change”.
Gli unbanked nel mondo (e come il fintech li sta avvicinando alla finanza)
Quanto al secondo aspetto, quello dell’inclusione sociale, i dati sono più consolidati. Secondo l’ultimo Global Financial Inclusion DataBase di Banca Mondiale un miliardo e 700mila adulti nel mondo non hanno alcun accesso a servizi finanziari. In Europa e Asia centrale, sono 116 milioni gli adulti unbanked. Ed essere unbanked, secondo la Banca Mondiale, “equivale a vivere al limite della soglia della povertà”. Secondo la Federal Deposit Insurance Corporation (FDCI) negli Stati Uniti gli unbanked ancora oggi sono il 5,4% della popolazione (circa 7,1 milioni di persone). La situazione è migliorata rispetto al 2009 quando erano il 7,7%. La tecnologia è il canale di accesso ai servizi bancari di questa larga fetta di popolazione nel mondo Occidentale ma anche – come già avviene da qualche anno – nel mondo emergente. Non a caso la Banca Mondiale parla di Fintech Revolution che ha portato, con la diffusione di internet e dello smartphone, all’aumento dei titolari di conto che inviano o ricevono pagamenti digitali dal 67% al 76% globalmente e dal 57% al 70% nel mondo in via di sviluppo. Si tratta di dati pre-Covid e sappiamo bene come la pandemia abbia spinto sull’acceleratore della digitalizzazione.
Anche solo con riferimento ai servizi finanziari di base, come il conto corrente: le challenger bank consentono di aprirlo senza saldi minimi e spesso senza fee. Ma diventa sempre più facile emettere carte di credito – perché via API si reperiscono tutte le informazioni necessarie per evitare il rischio di scoperti; con le piattaforme di lending si fa nella pratica microfinanza – perché diventa possibile finanziare somme piccole che per le banche tradizionali non fanno margine e quindi non funzionano. Mentre gli Exchange rendono possibile investire anche piccole somme sui mercati azionari e le criptovalute: un mondo nuovo che avvicina tutti alla finanza e allontana gli ultimi dalla povertà.
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