L’Italia è uno dei Paesi che per primo in Europa si è occupato di normare FinTech e P2P lending (fin dal 2016). Ed è stato pioniere anche nell’introduzione della sandbox per le sperimentazioni delle startup che si occupano di digital banking. Un patrimonio che oggi ci aiuta a proteggere gli utenti dai rischi e ad avere business più efficienti
Man mano che il FinTech evolve e integra tecnologie sempre più complesse, emerge il valore della regolamentazione. Nell’era del digital banking e dell’open banking, in generale, il rischio di violazione dei dati è molto elevato.
Proprio la digitalizzazione, mentre abilita servizi evoluti, presuppone uno scambio massiccio di dati e l’utilizzo di tecnologie come la blockchain e l’AI – intorno a cui esiste ancora un acceso dibattito su temi quali etica e scalabilità, per fare qualche esempio – che sono porta di ingresso anche per gli hacker. Dunque la protezione dei dati è cruciale e ogni nazione si sta adoperando per affrontarla nella maniera più efficace e tempestiva. Per una volta, l’Italia si trova in una posizione di potenziale primato in questo ambito. Le piattaforme FinTech domestiche operano infatti in un mercato fortemente regolamentato.
Il social lending compare esplicitamente in una norma per la prima volta a inizio novembre 2016. Si tratta delle Disposizioni in materia di raccolta del risparmio dei soggetti diversi dalle banche, pubblicate da Bankitalia, in cui si definisce come “uno strumento attraverso il quale una pluralità di soggetti può richiedere a una pluralità di potenziali finanziatori, tramite piattaforme on-line, fondi rimborsabili per uso personale o per finanziare un progetto”.
L’attività di social lending trova i suoi fondamenti giuridici nel concetto di mutuo, come è esplicitato nel codice civile; inoltre è materia delle norme che disciplinano la raccolta del risparmio da parte dei soggetti diversi dalle banche e di quelle che assoggettano a sanzione penale l’attività di raccolta del risparmio tra il pubblico e l’attività bancaria svolte abusivamente (TUB).
Insomma, le piattaforme di social lending sono tutt’altro che battitori liberi in un mercato selvaggio, ma sono soggette al TUB e alla vigilanza di Bankitalia, Consob e OAM (l’Organismo degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi) a seconda della forma giuridica.
Ad autorizzare un Istituto di Pagamento (ma anche l’istituto di moneta elettronica) è l’Istituto di vigilanza di Banca d’Italia, che si occupa anche del monitoraggio delle attività successive, vigilando su contenimento del rischio, stabilità e sana e prudente gestione. La Consob invece vigila in merito a trasparenza e correttezza dei comportamenti di questi intermediari per l’offerta dei prodotti di investimento. Esiste poi un ulteriore ambito di controllo che è quello esercitato dall’OAM, la cui missione di vigilanza riguarda gli intermediari finanziari e i mediatori creditizi.
Il marketplace di BorsadelCredito.it, in particolare, è gestito dall’istituto di pagamento Mo.Net S.p.A e da ART SGR S.p.A, una società di gestione del risparmio autorizzata a gestire fondi alternativi di investimento (che prestano denaro tramite la piattaforma BorsadelCredito.it) riservati a investitori professionali.
L’ultima novità, in termini di regolamentazione, è la sandbox introdotta dal Decreto Crescita, diventato legge a giugno 2019: uno spazio limitato per consentire alle startup del FinTech di agire in deroga alle regole generali per sperimentare e portare a regime i propri modelli di business e/o la propria offerta in tempi più rapidi e in maniera più efficace, andando avanti per prove ed errori.
Che l’Italia sia stata ricettiva anche su questo fronte lo dimostrano i tempi: mentre la Commissione Europea a marzo 2018 pubblicava il suo Piano di Azione sul FinTech, nel 2017 Banca d’Italia in un report parlava della sandbox come di una possibilità da sfruttare. E anche Consob, nel quaderno di marzo 2018 sosteneva che “in attesa di un regime regolamentare omogeneo a livello europeo, sia da ritenere preferibile una regolamentazione meno pervasiva delle FinTech in fase di start-up e, quindi, sia opportuno permettere di sperimentare, sotto il controllo della vigilanza, l’applicazione graduale di norme specifiche”.
Il Comitato di coordinamento per il FinTech, istituito presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, sta dando attuazione in Italia al piano europeo occupandosi di “individuare gli obiettivi, definire i programmi e porre in essere le azioni per favorire lo sviluppo della tecno-finanza”, agevolando la collaborazione con soggetti esteri e la comunicazione degli operatori con istituzioni e autorità. Proprio questo contatto agevolato tra le autorità e gli operatori è, a nostro avviso, uno dei punti più all’avanguardia di tutto l’impianto normativo. Intanto, il Comitato ha avviato una consultazione pubblica, conclusa il 31 marzo 2020, per l’adozione del regolamento attuativo.
Nel frattempo le FinTech conducono sul campo le loro sperimentazioni, avendo dimostrato, soprattutto nell’ultimo semestre di emergenza, di avere i numeri per riuscire a adattare i modelli di business, in maniera flessibile e rapida, a contesti inediti. E le regole, anziché essere un intralcio, in questo caso aiutano.