Per Maurizio Pimpinella (APSP) il futuro del denaro senza banca è possibile anche in Italia. A BorsadelCredito.it ha spiegato perché
“Il fintech in Italia? Penalizzato anche dall’incapacità di fare sistema. Ma perché prenda il volo bisogna spiegare innanzitutto, in maniera semplice e diretta, di cosa si tratta e dei vantaggi che può apportare ai potenziali utenti. Il Peer2Peer lending sembra innestarsi perfettamente nel nuovo ecosistema di una finanza: sostenibile, trasparente, abile a mettere in contatto orizzontalmente i clienti.” A dirlo a BorsadelCredito.it è Maurizio Pimpinella, il presidente dell’Associazione dei prestatori di servizi di pagamento (A.P.S.P.), che ha l’obiettivo di favorire lo sviluppo, l’informazione e la conoscenza degli istituti di pagamento e di moneta elettronica. Con lui abbiamo parlato di P2P lending, di fintech e del futuro delle banche. Ecco il suo pensiero.
Qual è la sua opinione sul P2P lending italiano? BorsadelCredito.it è il maggior operatore con focus sulle imprese e ha erogato circa 20,4 milioni di euro ma il bacino potenziale di PMI che si possono servire nel marketplace ha un fabbisogno di 50 miliardi (fonte KMPG): come si colma questo gap? Ci vogliono più competitor, un adeguamento della fiscalità per il P2P rispetto ad altre forme di investimento dedicato alle imprese?
Partiamo con il definire quello che fate voi: i prestatori entrano in relazione con soggetti che necessitano di prestiti. “Aggirando” il canale bancario tradizionale si ottiene uno scenario win-win, dove il lender ottiene un tasso maggiore di quello a cui potrebbe ambire mettendo i propri soldi in banca in un conto di deposito, e il borrower riceve il prestito ad un tasso più competitivo rispetto a quello che gli verrebbe applicato da un istituto bancario tradizionale. Come è noto, questo sistema di finanziamento nasce per la prima volta in Inghilterra dal sito web Zopa, che dal 2005 a oggi ha erogato 2,877.5 milioni di sterline in prestiti senza ricorrere al credito delle banche. Si stima che complessivamente il Peer2Peer lending possa raggiungere quota 300 miliardi di dollari entro il 2020 (stima a ribasso rispetto alle proiezioni del 2017 di Morgan Stanley secondo le quali lo scorso anno il giro d’affari complessivo del P2P lending ha superato i 200 miliardi di dollari, ma quadruplicherà entro il 2020). Per farlo volare anche in Italia, suggerisco, semplicemente, di formare ed informare: formare i giovani, informare tutti i cittadini. Non esistono mutamenti a cascata dall’alto, bisogna invece capitalizzare la cultura finanziaria delle nuove generazioni, sempre più aperte a forme alternative di gestione del risparmio e degli investimenti. Si tratta di un problema di mera diffidenza.
In effetti le resistenze sono tante sul fronte dei consumatori che per molti versi hanno ancora paura del denaro mediato da Internet (lo dimostrano l’antica scarsa diffusione dei pagamenti con carta e la preferenza ancora spiccata per il contante rilevata da molte statistiche): cosa dobbiamo dire ai consumatori per aumentare il loro grado di fiducia e fargli vedere i vantaggi della banca che viaggia in rete?
Parlare in modo semplice, diretto: spiegare che è statisticamente molto più probabile subire una rapina a uno sportello bancario ad esempio, che farsi ‘scippare’ la carta nel web. Spiegare che i circuiti sono sempre pronti, 24 ore su 24, a bloccare una carta clonata, e che le frodi online si assestano attorno allo 0,0011% delle transazioni, numeri infinitesimali. La sicurezza dei digital payment è prossima al 100%, mentre ogni anno la BCE riconosce 387mila banconote false: contro la diffidenza verso i pagamenti digitali, la miglior arma sono i dati.
Anche perché nel futuro con lo smartphone tutti faranno le operazioni che in molti casi oggi si fanno ancora allo sportello: spostamento di denaro, richiesta di prestiti, per privati e imprese. Quanto è vicino questo mondo?
I numeri di questo business sono già impressionanti: 25 miliardi di download, con una crescita del 15% su base annua. Questi i dati diffusi dalla società di analisi App Annie riguardo all’andamento del mercato delle applicazioni nel secondo trimestre del 2017. Le spese sostenute per l’acquisto delle app sono state più di 15 miliardi di dollari, con una previsione di una spesa complessiva di 60 miliardi di dollari da gennaio a dicembre, con un balzo di quasi cinque volte rispetto al 2016, quando è stata di 1300 miliardi. Una cifra che, secondo gli analisti, farebbe dell’economia delle app la terza maggiore al mondo. Il motore della crescita è il mobile commerce che sta ridefinendo i nostri consumi. WhatsApp, Wechat, Messenger, Kakao e altre applicazioni consentono lo spostamento di denaro fra utenti ed esercenti, rendendo le forme di pagamento sempre più smart. Questo mondo è già realtà, l’Italia è un paese demograficamente anziano, dunque è normale che ce ne rendiamo poco conto: se prendessimo come riferimento una metropoli asiatica, tutto questo non è neppure una novità.
Sul fintech in generale l’Italia è molto indietro: perché il mercato è così rarefatto? Cosa si può fare per incentivarlo?
Se è vero che in tutto il mondo nel 2016 sono stati investiti 70 miliardi in questo settore, da noi ci assestiamo a quota 70 milioni.
Una delle ragioni è di immediata comprensione: abbiamo solo poche grandi aziende in Italia e solitamente sono loro ad alzare l’asticella dell’innovazione spendendo risorse in ricerca ed incubando idee vincenti. Motivo per cui molti giovani italiani vanno all’estero a sviluppare i propri business. Il mercato è rarefatto perché l’Italia è tuttora ferma all’epoca dei Comuni, fare sistema è difficile: nel campo finanziario, fatto di volumi, la competitività rischia di sfumare. Stiamo facendo il possibile con riferimento ai pagamenti digitali, punta di diamante del fintech stesso: il Competence Center Payment Academy istituito dall’Associazione che rappresento, mira a rafforzare l’ecosistema frammentato del settore digital payment, e a tal proposito, il fintech costituisce il collante perfetto tra grandi colossi, utenti finali e giovani talenti.