3 novembre, 2020

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Scritto da: Redazione Opyn

Il processo di scoring: perché quello FinTech può rendere più efficiente il sistema finanziario

La capacità di calcolo dei sistemi di intelligenza artificiale che ne è alla base può aiutare banche e altre istituzioni finanziarie tradizionali a velocizzare i tempi e a valutare più efficacemente le aziende che chiedono credito. Con un beneficio a cascata per tutti gli stakeholder. Ecco come

Avevamo definito il 2020, a inizio anno – quando lo spettro del Covid non era neppure nei nostri peggiori incubi – l’anno zero della finanza 2.0. Complice la PSD2, doveva essere l’anno in cui l’open banking – e l’aumento conseguente della collaborazione tra banche tradizionali e FinTech – i dati e la loro gestione sarebbero diventati cruciali per determinare vincitori e perdenti di un sistema.

Effetto Covid sul sistema finanziario

Il Covid ha reso questa affermazione ancora più evidente. Sia perché in generale ci ha costretto in maniera estensiva a lavorare da remoto facendoci apprezzare il valore del digitale, sia perché, nello specifico del settore bancario, ha mostrato le falle di un sistema che non è stato in grado di erogare rapidamente i prestiti di emergenza alle imprese, previsti dal decreto Rilancio. A fine maggio le banche avevano erogato solo la metà di quelli fino a 25mila euro e il 25% di quelli superiori. E anche se l’ultima rilevazione della task force di Banca d’Italia mostra che le richieste processate sono ora al 90%, il volume erogato è circa la metà rispetto all’ammontare richiesto, un segnale che sui prestiti di entità superiore ai 25mila euro, per cui l’istruttoria bancaria è quella normale, senza sconti, si continua ad arrancare. È successo anche in USA, dove, come racconta Pitchbook Il Paycheck Protection Program (PPP) – parte del Coronavirus Aid, Relief, and Economic Security (CARES) Act – ha travolto anche colossi come Bank of America, JpMorgan e Wells Fargo, che sono stati costretti a limitare il servizio solo alle PMI già clienti. Fino a che Kabbage non ha messo a disposizione il suo sistema di scoring automatico, salvando la situazione.

Quanto il rating non descrive la reale rischiosità

Non è una colpa, d’altronde valutare la solvibilità di un emittente è cruciale e, come ci mostrano le storie del passato, se si fa un errore può essere un disastro. Le obbligazioni di Parmalat erano considerate sicure e vendute al retail fino a quando il 27 dicembre 2003 l’azienda dichiarò fallimento. Due anni prima, il colosso dell’energia, Enron, con un rating molto elevato, aveva dichiarato bancarotta producendo un buco da 10 miliardi di dollari. E così Lehman Brothers, la banca USA simbolo della crisi subprime, con i mutui insolvibili di cui nessuno, per dolo o per colpa, aveva saputo misurare la solvibilità. I crediti non solvibili finiscono in quelle che nelle banche vengono definiti non performing exposure che, secondo PwC, ammontavano nelle banche italiane a 135 miliardi di euro a fine 2019 contro i 314 del 2015. Un miglioramento che la fine delle moratorie concesse dal Covid potrebbe finire per annullare, secondo diverse analisi.

Il processo di scoring di BorsadelCredito.it

Per quanto detto, per le banche è necessario, oggi più che mai, possedere un sistema che consenta di assegnare rapidamente rating affidabili agli emittenti. Riteniamo che il maggior valore aggiunto di BorsadelCredito.it sia, allo stesso modo, la sua tecnologia proprietaria di scoring, che rende possibile valutare la solvibilità del richiedente in 24 ore. Non è magia, ma intelligenza artificiale. Un rating è costruito sulla base dell’analisi di tanti parametri, sia quantitativi che qualitativi, che descrivono lo stato di salute di un’azienda. Nel caso di BorsadelCredito.it il processo di assegnazione del voto è diviso in step: l’azienda richiedente inserisce a sistema la domanda con la documentazione completa relativa al bilancio e l’algoritmo inizia l’analisi quantitativa, prendendo in considerazione i parametri finanziari delle aziende e le evidenze sui sistemi di informazione creditizia. Viene analizzata ogni voce del bilancio, dall’andamento del fatturato, alla capacità di rimborso, all’incidenza degli oneri finanziari sul fatturato, all’indipendenza finanziaria, all’indice di liquidità, alla copertura degli oneri finanziari, al cashflow sul totale dei debiti e sul fatturato, ai mezzi propri sui debiti e sulle immobilizzazioni, all’utile sui mezzi propri.

Se l’azienda supera questo esame si passa all’analisi qualitativa che si svolge a sua volta in due step.

Si comincia dalla “web reputation”: si valuta la presenza sul web, le performance sui social media e il modo in cui l’azienda è percepita in questo spazio virtuale. Aspetti ignorati dagli istituti tradizionali, ma che i marketplace lending hanno saputo sfruttare a loro favore per migliorare la predittività delle valutazioni. Una verifica ulteriore viene svolta con un’intervista all’imprenditore, in cui emerge il profilo dell’imprenditore e le prospettive dell’azienda. A questo punto il processo è completo e l’azienda ha il suo rating, che ne determinerà la rischiosità (a cui collegare il tasso di interesse).

Non è magia, ma AI

Gli algoritmi proprietari delle FinTech, come il nostro, girano su sistemi esperti, modelli di calcolo costituiti sul modello delle reti neurali umane: le informazioni corrono sulle sinapsi e rimbalzano da un nodo all’altro per essere elaborate fino a restituire una deduzione. La macchina, deduzione dopo deduzione, apprende e affina il suo modo di ragionare. Un po’ come farebbe una mente umana, ma moltiplicandone in maniera esponenziale la capacità cognitiva, grazie a una potenza di calcolo e storage superiore. In pratica, l’algoritmo sa discernere nei big data le informazioni utili, fare collegamenti e trarre inferenze, compiendo miliardi di operazioni in frazioni di secondo. Questo apporto tecnologico automatizza e rende più efficaci i processi interni delle banche tradizionali. Ed è ora di prenderne atto.

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