“Non servono nuove leggi, ci sono le direttive europee”, parola di Umberto Piattelli, partner dello studio legale Osborne & Clarke e consulente della Commissione Europea sul crowdfunding
“Il trend del social lending italiano è decisamente rivolto a incrementare le offerte di finanziamenti per le start-up, le micro e le piccole imprese poco servite dal sistema bancario, così come avviene oramai negli altri paesi europei e non solo. Rispetto alle 3 piattaforme di social lending che operavano in Italia nel 2015, si contano già ben 8 piattaforme nel 2016 e non mi stupirei se il numero raddoppiasse ancora nel 2017, con un forte incremento delle piattaforme P2B, e quindi rivolte al mercato delle aziende”. A dirlo è l’avvocato Umberto Piattelli, partner dello studio legale Osborne & Clarke e dal 2014 membro dell’European Crowdfunding Stakeholders Forum, il gruppo di 40 esperti nominato dalla Commissione europea per ricevere consulenza e supporto allo sviluppo di politiche per la crescita dello strumento e per la tutela degli investitori. A lui, che è uno dei massimi esperti italiani di legislazione e finanza alternativa, abbiamo chiesto cosa cambia con le novità introdotte a novembre nel Regolamento di Bankitalia sugli investimenti diversi dalla raccolta del risparmio e cosa ancora c’è da fare, in termini normativi, per far crescere il settore.
A inizio novembre è stata aggiornata la sezione IX della Circolare 229/99, con la definizione di social lending come “trattativa personalizzata tra prenditore e prestatore, in cui i due soggetti hanno capacità di incidere sulle caratteristiche del contratto”. Cosa cambierà questa novità?
Oggi è molto difficile capire quale impatto possa avere questo regolamento primordiale della materia. Va detto che una disposizione simile era già stata introdotta un anno fa da Banca d’Italia, la quale con questa nuova definizione ha cercato di chiarire meglio un punto che era apparso da subito di difficile interpretazione. Purtroppo, e nonostante la precisazione contenuta nel regolamento in questione, non ci pare che l’autorità regolamentare abbia chiarito l’interpretazione della propria volontà. In un mondo nel quale le piattaforme operano esclusivamente online e con sistemi informatici avanzatissimi, la Banca d’Italia pretenderebbe che ogni finanziatore negoziasse il finanziamento con il richiedente, fatto che evidentemente è impossibile. Se quindi non vogliamo ritenere che l’autorità regolamentare intenda vietare tout court questa attività, possiamo interpretare la norma nel senso che in Italia non sarebbero ammessi i c.d. sistemi di matching automatico, attraverso i quali i prestatori si limitano ad indicare l’interesse medio che vogliono ricevere sui loro prestiti e rimettono alla piattaforma la scelta degli stessi, che solitamente avviene sulla base della massima suddivisione possibile della cifra messa a disposizione dai finanziatori, proprio per meglio diversificare e quindi tutelare i loro interessi.
Il regolamento fissa un limite, non meglio specificato, all’importo investibile per il privato, ma introduce la raccolta senza limiti da parte delle banche. Cosa vuol dire?
I limiti a cui si fa riferimento identificano esclusivamente quei soggetti che, oltrepassati quei limiti, possono definirsi investitori professionali e che quindi sono soggetti a una diversa regolamentazione (non sono evidentemente consumatori o investitori cosiddetti retail). In verità, sempre il nuovo regolamento di Banca d’Italia sembra richiedere alle piattaforme di social lending di stabilire un limite massimo, di modico importo, che ogni prestatore può prestare in un singolo finanziamento (senza peraltro definire quale sia questo limite). Questa disposizione adottata dall’autorità regolamentare potrebbe avere impatti negativi nello sviluppo del mercato e peraltro, in assenza di una legge dello stato italiano che disciplini questa attività, non appare avere alcun fondamento normativo. Quello che è curioso, tra l’altro, è il fatto che in Francia esisteva una legge che limitava il valore del prestito massimo di ciascun finanziamento operato tramite piattaforme di social lending, che era pari ad euro 1.000 per singolo prestito e che una legge di questi giorni ha appena elevato ad euro 3.000. La sensazione, come al solito, è che l’Italia sia sempre in ritardo quando si tratta di regolamentare un nuovo e promettente settore di business (qui siamo nel fintech) e di regolamentarlo in maniera adeguata.
L’investimento in p2p è meno vantaggioso dal punto di vista fiscale rispetto ad altri prodotti di gestione del risparmio, essendo la tassazione ad aliquota marginale sul reddito tra il 23 e il 43%. Pensa che questo sia un vincolo che frenerà ancora il mercato?
Sicuramente non lo aiuta. La recente discussione relativa alla tassazione degli affitti realizzati tramite piattaforme come AIRBNB credo possa essere utile a evidenziare anche questo aspetto. Tutte queste nuove attività che utilizzano la rete e lo sviluppo del digital business, a mio modo di vedere, non possono essere svolte senza pagare alcuna imposta ma neppure debbono essere penalizzate dall’applicazione di norme fiscali che non sono adeguate in quanto non aggiornate rispetto alle nuove attività che si stanno sviluppando nel mondo intero. E il settore del fintech, incluso quello del social lending, è sicuramente tra quelli che richiederebbero un intervento normativo perequativo ad hoc (una aliquota fissa predeterminata come avviene per le rendite finanziarie potrebbe risolvere il problema, ove stabilita in un importo ragionevole).
Cosa si dovrebbe fare per far crescere il p2p lending in Italia? Si tratta comunque di un’innovazione necessaria e inarrestabile, manca l’apporto del legislatore. Cosa suggerisce?
Chiedere che si adotti una nuova legge in Italia apre sempre delle incognite notevoli, sia per il contenuto che per i tempi. è inutile se arriva tra tre anni, quando il mercato magari avrà introdotto ulteriori novità e modifiche all’attività. E forse non è neppure così necessario se consideriamo che l’entrata in vigore della PSD2 (la direttiva sui servizi di pagamento) e della PAD (la direttiva sui conti di pagamento), in corso di recepimento nei prossimi diciotto mesi in tutta l’Unione Europea, porteranno certamente all’adozione nuove disposizioni normative e regolamentari in materia. Sarebbe quindi più logico ed efficiente sfruttare queste nuove norme per introdurre quelle poche ulteriori disposizioni necessarie a regolare i principi base dell’attività.
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